lunedì 4 luglio 2011

Costi della casta, italiani colpevoli. Nel 2006 potevamo tagliare i parlamentari

parlamento soldi 



Fabio Cavalera, propone un illuminante paragone tra gli emolumenti dei parlamentari italiani e quelli dei loro omologhi britannici. Lo stipendio annuo lordo di un membro della Camera dei Comuni ammonta, tutto compreso, a 118.195 Euro contro la cifra di 218.310 corrisposta al deputato di Montecitorio. La forbice si riduce (ma non di molto) quando si aggiunge la spesa  dell'assistente, che a Londra è variabile a seconda del merito e delle qualifiche intellettuali  e che non è il semplice "portaborse". E' il più recente confronto in un quadro scandaloso: il "record europeo" degli emolumenti ai parlamentari italiani dura da sempre. E al legittimo disgusto popolare ad ogni aumento si è risposto per diversi decenni che non era colpa dei partiti. Bensì dell'automatismo di legge che agganciava gli stipendi di deputati e senatori a quelli degli alti magistrati. E che non era costituzionalmente possibile agire sull'indipendenza dei signori togati. Con questo alibi si è lasciata crescere la spesa senza freni. Pensioni comprese: anche perché, per restare nel paragone con il Regno Unito, i deputati britannici hanno un vitalizio dopo 15 anni di 2.381 Euro mensili contro i 7.450 italiani.
Se la manovra di Tremonti sui costi della politica (che prevede i compensi ridotti ad una ragionevole "media europea") supererà tutti gli scogli delle commissioni e delle aule parlamentari, c'è da chiedersi come reagiranno i magistrati. Si appelleranno alla intoccabile "autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario tutelata dalla Costituzione" oppure parteciperanno anche loro alla sobrietà imposta. Anche perché i cittadini contribuenti sono leggermente risentiti nell'apprendere che una parte delle loro tasse serve a pagare le multe che arrivano dall'Europa per i ritardi cospicui e l'evidente malfunzionamento della giustizia. Inoltre che i nostri parlamentari siano troppi (quasi mille tra Camera e Senato) non è una scoperta recente. E il confronto con gli altri Paesi è altrettanto impietoso.  E tuttavia, come si è ridotto drasticamente il numero degli eletti nelle assemblee locali (ad esempio il Consiglio Comunale di Milano è passato da 80 a 60 e adesso a 48) per gli inquilini del parlamento occorre una riforma costituzionale.
A dire il vero una riforma c'era già stata: quella della devoluzione del 2005 , che, oltre al trasferimento di poteri alle Regioni e al Senato federale, riduceva di un terzo il numero di deputati e senatori.  A partire dal 2011.  La riforma che aveva superato tutto il lunghissimo iter previsto dalla Carta, venne però respinta dal referendum della primavera 2006.  Quando si esprime il popolo sovrano, in democrazia ha sempre ragione….
Certo, è poco elegante ricordare gli errori e le forzature mediatiche di chi allora scatenò la campagna referendaria contro quella riforma. Ma oggi almeno un risultato sarebbe già raggiunto. E invece si fa finta che non sia successo niente. All'insegna del "scurdammoce o' passato". Ma intanto si paga…

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